Come si costruisce l’indice della libertà di stampa nel mondo? Ce lo spiega RSF
Anche quest’anno, come avviene ormai dal 2002, l’Indice mondiale della libertà di stampa di Reporter Senza Frontiere fotografa il grado di libertà a disposizione dei giornalisti in 180 Paesi. Ma come si stabilisce chi sale e chi scende? Chi e come decide chi sono i buoni e i cattivi?
RSF elabora un questionario composto da 87 domande incentrate su parametri come il pluralismo, l’indipendenza dei media, l’autocensura, il quadro legislativo, la trasparenza e la qualità dell’infrastruttura che supporta la produzione di notizie e informazioni, il livello di abusi e violenze. È tradotto in 20 lingue (tra cui inglese, arabo, cinese, russo, indonesiano e coreano). Un team di specialisti, ciascuno assegnato a una diversa regione geografica, mantiene un dettagliato conteggio di abusi e violenze contro giornalisti e media. Questi ricercatori fanno anche affidamento su una rete di corrispondenti in 130 Paesi.
La mappa della libertà di stampa, distribuita in versione cartacea e digitale, offre una panoramica visiva della situazione in ciascun paese. I colori indicano il grado di maggiore o minore libertà e vanno dal bianco (buono), al giallo (discreto), all’arancione (problematico), fino al rosso (cattivo e al nero (molto cattivo). Ma chi è coinvolto in questo lavoro? Come vengono scelti gli autori? Lo abbiamo chiesto a Prem Samy, parigino, dal 2015 a capo della redazione dell’Indice.

In Italia, leggiamo che Eugenio Scalfari e Roberto Saviano fanno parte dell’emeritus board di RSF: significa che sono loro gli estensori dell’Indice?
«No, nessuno di questi è coinvolto nella creazione dell’Indice. L’identità degli autori – cioè di coloro che rispondono al sondaggio annuale – è confidenziale, poiché in alcuni Paesi discutere di libertà di stampa è un rischio. Il questionario viene inviato a giornalisti, avvocati, ricercatori e altri specialisti dei media selezionati da RSF nei 180 Paesi e regioni coperti dall’Indice».
Quanto tempo è necessario per realizzare l’Indice?
«Servono alcuni mesi prima del rilascio dell’Indice, a metà aprile di ciascun anno. L’Indice è la sintesi che RSF fa nel suo ruolo di osservatore come “cane da guardia”. Quindi da una parte è un momento cruciale per noi come organizzazione, dall’altra è anche un appuntamento importante per fare il punto sullo stato di salute della libertà di stampa in tutto il mondo».
Il lavoro da fare è monumentale. Quali sono i principali effetti che riscontrate con la pubblicazione annuale della mappa della libertà di stampa?
«Innanzitutto l’Indice è citato ogni giorno da istituzioni internazionali come l’Unesco o il Parlamento Europeo. La nostra motivazione è fare la differenza sul campo, influenzare i governi a lavorare in modo efficiente sulla questione della libertà di stampa. L’Indice fa reagire le persone, e noi cogliamo l’occasione per dare una risposta. È l’inizio di un dialogo in cui possiamo portare dei fatti e aggiungere spunti alla nostra analisi».
Il segretario generale di RSF, Christophe Deloire, sottolinea altri aspetti. «Tra i problemi principali che emergono, riscontriamo la paura. L’ostilità nei confronti dei giornalisti, espressa da leader politici in molti Paesi, ha provocato atti di violenza sempre più gravi e frequenti che hanno alimentato un livello senza precedenti di paura e di pericolo per i giornalisti. Se il dibattito politico crea un clima da guerra civile, in cui i giornalisti sono trattati come capri espiatori, allora la democrazia è in grave pericolo. Fermare questa spirale di timori e intimidazione è una questione della massima urgenza per tutte le persone di buona volontà che apprezzano le libertà acquisite nel corso della storia».
I casi di intimidazione e violenza sono moltissimi, non c’è bisogno di andare lontano. Basta guardare in Europa, o anche in Italia (che si piazza al 43° posto nell’Indice). Ricordiamo, per esempio, l’ipotesi da parte di Matteo Salvini di togliere la scorta a Roberto Saviano, dopo che lo scrittore aveva apertamente criticato la Lega. La caccia ai giornalisti che interferiscono con i poteri in atto sembra non avere limiti. Come non ricordare uno dei casi più eclatanti dello scorso anno: l’orrendo omicidio dell’editorialista saudita Jamal Khashoggi, ucciso a sangue freddo al consolato in Turchia. Un messaggio agghiacciante per tutti i giornalisti arrivato ben oltre i confini dell’Arabia Saudita (172° posto). Per paura di rischiare la propria vita, molti cronisti praticano l’autocensura o smettono del tutto di scrivere.