Rappresentazioni mediatiche di LGBT
Un no secco all’omofobia e le parole giuste per raccontare la comunità LGBT: è quello che si chiede ai media, responsabili spesso di non fare buona informazione e di porgere il fianco a istanze discriminatorie. Di questa questione si è parlato in occasione dell’evento “Informazione e discriminazione”, organizzato al Campus Luigi Einaudi di Torino, dove è intervenuta Caterina Coppola, giornalista ed ex direttrice di gay.it, portale italiano d’informazione sulle tematiche di interesse dalla comunità lesbica, gay, bisessuale, transgender, queer e intersessuale.
Il punto focale è il linguaggio per passare un’informazione corretta. “Occorrono innanzitutto competenza, rimozione degli stereotipi e la consulenza di esperti specializzati su determinati temi“, ribadisce Caterina Coppola. Il termine “transessuale”, ad esempio, è utilizzato in modo improprio e sarebbe più opportuno preferirgli “transgender”. Anche l’uso di un semplice articolo determinativo può connotarsi di significato: quando si parla di un uomo che ha compiuto la scelta di cambiare il proprio sesso biologico è corretto utilizzare “la transessuale”, per rispettare il percorso fatto.
Ma sui quotidiani è più facile trovare titoli che riportano epiteti dispregiativi o canzonatori come “viados”, probabilmente perché si crede che facciano parte di un repertorio di immagini più facilmente identificabile dal lettore.
“È che spesso si associa il mondo gay al porno“, denuncia Coppola, raccontando l’imbarazzo provato molte volte presentandosi come direttrice di gay.it e dovendo tranquillizzare l’interlocutore .
La minoranza LGBT trova spazio sulla stampa quasi esclusivamente nella cronaca nera, per notizie che riguardano perlopiù vittime di omofobia, suicidi e bullismo.
Inoltre nel “dare i numeri” si tende a sottostimarla: a Torino, ad esempio, si stima che siano tra il 2 e l’8% gli omosessuali, ma si tiene conto solo della definizione che ciascuno dà del proprio orientamento sessuale, senza considerare altri aspetti, come il discostarsi dal ruolo di genere o la difficoltà di inscrivere il proprio comportamento in una categoria precisa, necessariamente riduttiva.
Il numero dei o delle transessuali, inoltre, non è aderente alla realtà, perché viene preso in considerazione solo chi accede ai servizi e non chi è in transizione.
Se è indubbiamente vero che in tempi recenti la visibilità sociale delle comunità omosessuali è decisamente maggiore e che le battaglie per i diritti civili hanno dato loro un protagonismo anche mediatico, il discorso è ben diverso per i e le transessuali, vittime ancora oggi di stigmatizzazione e discriminazione sociale. Caterina Coppola ricorda, tra i molti esempi, il caso di una prostituta transessuale che era stata picchiata e derubata da un cliente: la stampa ne diede notizia ribaltando letteralmente l’accaduto.
E, a prescindere da considerazioni che chiamerebbero in causa il diritto all’uguaglianza tra gli esseri umani, per un giornalista il fatto è deontologicamente inammissibile.